lunedì 11 aprile 2011

Metodologia territoriale -1

Dai tempi in cui il Professor Tiziano Mannoni, nel 1970, descriveva in un contributo rimasto fondamentale i modelli di occupazione antropica dei territori dell’Appennino Ligure, dando in questo modo inizio alla moderna archeologia del territorio italiana, non poco tempo è passato, né è passato invano.


I processi logici e gli eventi del mondo archeologico e storiografico seguono in Italia un percorso assai differente dalla moderna impostazione territorialista ed ecologista che possiamo trovare nel resto d’Europa e nel continente americano. Una impostazione, quest’ultima, che studia la Storia non come concetto alto e astratto di proprietà di pochi specialisti, bensì come indagine dei luoghi e dell’ambiente naturale nei quali ha preso forma la Storia stessa.
Secondo questa visione ciò che si studia dunque è la vicenda di un territorio, una evoluzione comune in cui chiunque può ritrovare comuni radici. Fortunatamente anche in Italia si è osservata, negli ultimi decenni, la nascita di alcuni importanti studi di archeologia del territorio, per lo più concentrati nel triangolo Liguria –
Emilia Romagna – Toscana.
Di una di queste indagini si vuole, con questo volume, dare notizia. Si tratta di uno studio sulle vallate appenniniche dei Torrenti Parma, Baganza ed Enza, nell’Appennino Emiliano, durato poco meno di una quindicina d’anni e tuttora in corso. Di questa ricerca si vuole dare conto in particolare, in questa sede, dei dati emersi riguardo il periodo della tarda Preistoria dell’Età del Bronzo (2300 – 900 a.C.). Il metodo di studio cui si è voluto fare riferimento nel corso della fase “di campo” della ricerca è costituito da quella forma dell’Archeologia Globale del territorio che, dalla originaria prospettiva ligure, garfagnina ed emiliana occidentale apparisse riadattabile alla peculiare conformazione ed ai caratteri geomorfologici dell’Appennino Parmense e Reggiano nel settore delle Valli Baganza, Parma, Enza. Tra gli studi sul territorio ci si è sovente ispirati a quelli sulla pianura emiliana e romagnola impostati da G. Bottazzi e M. Calzolari. Infine cito il più recente studio sui vasti territori della Val Reno tra Bologna, Pistoia e Prato, il quale ha portato
all’individuazione della prima area incisoria rupestre dell’intero Appennino. Tra le esperienze
che si sono tenute presenti infine, grande importanza hanno avuto gli studi sui territori maremmani della Valle del Fiora.

Questo elenco di studi ai quali mi sono ispirato è in realtà anche, in parte, l’elenco di quelle aree d’Italia che sono state analizzate archeologicamente nel dettaglioe, finalmente, con una metodologia moderna rivolta non solo agli oggetti artistici o allo studio dei materiali. Dobbiamo infatti credere oggi che la crescita dell’archeologia in quanto parte della cultura italiana si trova nel coraggio di questi lavori di ricerca, che vivono di uno spirito appassionato e di un approccio globale ovvero non settorializzato. Se così è allora diviene fondamentale la conoscenza di questi episodi di studio, la loro memoria. Diviene fondamentale il collegamento ideale tra di essi e quello reale, geografico tra i territori oggetto delle ricerche, allo scopo di portare finalmente anche l’Italia ad un livello di completezza delle ricerche archeologiche.
Il metodo territorialista sembra idoneo a farsi carico delle problematiche d’indagine dei territori appenninici, ciò nonostante ancora forti sono le resistenze verso questo tipo di studi, che non sono ancora pienamente  entrati nel patrimonio metodologico dell’archeologia ufficiale ( la quale continua a vederli come personalistico “esercizio” e disturbo delle attività tradizionali ). Il metodo dell’Archeologia Globale del territorio nasce in ambito ligure con lo scopo di adattare la vecchia field archeology inglese allo studio dei territori appenninici,  nei quali la ricerca appare assai più complessa a causa, in particolare, di individuare i modelli dell’insediamento antico, di trovare in concreto i “siti” archeologici e infine di rinvenire i materiali, i quali sovente risultano dispersi lungo i versanti nel caso di modelli insediativi d’altura o comunque in posizione rilevata.

[...Continua]

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