mercoledì 4 maggio 2011

Nuovi orizzonti metodologico operativi.

Un argomento che era caro al Professor Mannoni era quello del “saper fare a regola d’arte”. Di
che si tratta? Nei mestieri antichi ed, in generale, nelle conoscenze degli antichi tutto ciò che si sapeva del
processo produttivo non riguardava il principio fisico chimico alla base dello stesso processo, del quale al contrario non si sapeva assolutamente nulla: nei mestieri tradizionali le conoscenze riguardavano le proprietà dei materiali, le reazioni che avvenivano durante i processi di produzione, ovverosia come i materiali lavoravano quando messi sotto sforzo, mescolati tra di loro e questa conoscenza la si traduceva con l’espressione “fatto a regola d’arte”.

Erano cioè conosciuti perfettamente quelli che erano gli effetti di una lavorazione ma,
come ribadisco, nulla era noto del perché tali cose accadevano, ovvero dei principi come ho
detto chimico fisici dei materiali.
Ora sappiamo bene che una delle tragedie del mondo moderno è quella di avere perduto, o di
stare perdendo, le conoscenze alla base dei mestieri tradizionali, il cosiddetto sapere della
Tradizione: la Regola dell’Arte.
Al contrario la nostra attuale conoscenza tecnologica tiene da conto esattamente il principio
inverso: noi oggi sappiamo tutto dei principi chimici, fisici e meccanici dei materiali, ed anzi è
noto a tutti che i processi produttivi e costruttivi calcolano unicamente questi: sappiamo tutto
dei calcoli dei cementi, dei metalli, dei processi produttivi industriali, dei processi di
informatizzazione e quant’altro. Il fatto è che contemporaneamente, abbiamo perduto tutte o
quasi le conoscenze del saper fare a regola d’arte, le conoscenze dei mestieri tradizionali.
Sembra, a dire il vero, che questi due mondi della conoscenza umana e che questi due modi di
produrre tendano anzi ad escludersi reciprocamente, perché dove e quando c’è il primo non
sussiste il secondo e viceversa. Questo fatto dovrebbe essere ritenuto estremamente limitante,
grave e castrante. Certo, perché presi separatamente i due processi produttivi mostrano di
avere connaturati dei limiti non indifferenti.
Non sarebbe lecito allora pensare che nei tempi futuri un processo veramente evolutivo della
nostra specie dovrebbe arrivare a comprendere entrambe le tipologie produttive, sia quella
dei mestieri tradizionali sia quella dei procedimenti tecnologici? L’una, senza l’altra infatti,
rischia di portare l’evoluzione della specie umana verso un binario estremamente pericoloso,
almeno tenendo conto del fatto che la conoscenza tecnologica è figlia del razionalismo
matematico, che per quanto importante non può bastare all’Essere Umano.
La capacità progettuale dei mestieri tradizionali infatti, del saper fare a regola d’arte, è figlia
dell’estro e della creatività e della passione dell’Uomo. E queste sono cose ben più importanti
per l’uomo della tecnologia matematica. Non sono cose fuori dalla logica, anzi sono
perfettamente logiche: ma esse sono anche figlie della genialità e dello spirito dell’Uomo.
Anzi, diciamolo pure: saranno proprio gli archeologi coloro che dovranno riportare in auge le
conoscenze dei saperi della Tradizione.
Esistono infatti mestieri ancor oggi, come l’erborista, il falegname, l’intagliatore, che vivono di
conoscenze tradizionali. Ma tali mestieri da soli non sono sufficienti a evolvere il mondo.
Soltanto gli archeologi infatti essendo a contatto con la terra e con quanto è in essa contenuto,
possono più facilmente venire a conoscenza delle antiche produzioni antropiche, e quando
queste verranno riproposte nei parchi archeologici metodologici sarà possibile crearne un
seppur limitato indotto economico, in quanto i meccanismi di riproposizione culturale e di
ricontestualizzazione con le antiche conoscenze avranno successo, proprio a livello
psicologico e sociale, dunque di proposta economica.
In una parola una reale evoluzione della nostra specie potrà venire, a lungo termine, dalla
integrazione dei due modi di produrre.

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