mercoledì 20 aprile 2011

Archeologia funzionale -2

L’Archeologia Globale del territorio, il cui scopo è la ricostruzione delle dinamiche sociali ed economiche dei vari periodi della storia dell’Uomo, ottiene tale ricostruzione, in sostanza, analizzando il significato dei vari modelli insediativi: questi infatti, nel loro insieme, hanno formato la trama degli insediamenti di ognuno dei tali periodi.

Con estrema semplificazione potremmo dunque affermare che se conosciamo le funzioni dei siti d’altura, dei siti su terrazzo fluviale, delle frequentazioni di crinale, di quelle dei campi di mezza costa e così via, siti/frequentazioni comunque posizionabili in un unico determinato lasso temporale (ad esempio il Medioevo) saremo anche in grado di conoscere le peculiarità della dinamica sociale, culturale, economica, politica, religiosa di quel periodo.

In una parola (se non conosceremo a fondo almeno) ci saremo resi conto di importanti fattori riguardanti quel determinato periodo. Si tratta dunque di analisi di funzioni. In particolare ho osservato che una certa difficoltà, nella valutazione delle indagini di superficie su campo, si è avuta nel riuscire per certo a definire un sito quale insediamento abitativo o villaggio. Fino ad ora sono valsi i tre seguenti principi:
1 – Se individuo un modello insediativo che restituisce caso per caso ovvero sito per sito centinaia, migliaia o più reperti, certamente è ipotizzabile che esso contenga la funzione abitativa ovvero che i siti che lo rappresentano siano quanto rimane di antichi villaggi.
2 – Se un sito, appartenente a un modello insediativo abitativo, restituisce pochi reperti, è talvolta ipotizzabile che i materiali, per lo più dilavati su versante, siano attualmente sepolti, ma che in origine si trattasse di sito di abitato. Questo sempreché appunto l’ipotesi sia suffragata da numerosi altri esempi di siti simili meglio indagati e attestati. Si osservi che nel corso degli anni tutti quei siti che, appartenenti a modelli insediativi abitativi e caratterizzati dalla presenza di pochi reperti, hanno in seguito avuto la possibilità di indagini più approfondite hanno restituito numerosissimi reperti, ricadendo nell’ambito di quanto ipotizzato al numero 1.
3 – Un sito è abitativo se in esso compaiono i materiali tipici di una capanna: vasi da fuoco, da dispensa, da mensa, frammenti di capanne, bronzi, ferri, vetri, ossa animali e resti di pasto, macine e pestelli. Sono cioè da analizzare le associazioni materiali, le quali possono poi dare anche indicazioni di altro tipo allora sarà ipotizzabile di essere in presenza di un modello insediativo non di abitato ma comunque caratterizzato da altre funzioni. In concreto si tratterà dunque di un sito peculiare quale una fornace, una strada, una necropoli, un’area sacrale di incisione rupestre, un luogo di culto delle vette e quant’altro. Tutto ciò, anche sulla base dell’universale accettazione, utilizzo e successo delle metodiche territorialiste nell’archeologia mondiale, sembra condivisibile. Ma allora per qual motivo, nell’Italia dominata da classicisti e tipologi formali, recentemente un importante studioso dell’Età del Bronzo mi ha confessato di non essere d’accordo con
queste ipotesi “abitative” sui siti d’altura scarsamente attestati dai reperti? Per chi osserva solo la massa dei reperti e gli oggetti artistici contenuti nei records archeologici che reali possibilità di comprensione esistono? Sarà risposto: <<certamente nessuna>>. Ed è la vera tragedia dell’archeologia italiana.

Nessun commento:

Posta un commento